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Nuova classificazione della malattia parodontale e scarso impatto clinico sulla pratica quotidiana

Malattia parodontale

La nuova classificazione della malattia parodontale e peri-implantare si vanta di essere consensuale ed internazionale:  la sua diagnostica è caratterizzata dal concetto di stadi e gradi della malattia.
Le descrizioni sono relativamente derivate dalla vecchia denominazione: piuttosto che “iniziale, intermedia e avanzata” si è preferito differenziare la malattia in “Fase I – II e III”.  È rivoluzionario? Forse …

Si evidenziano i gradi A – B – C:  fenotipo gengivale, tabacco e diabete in realtà, sono criteri molto semplicistici in relazione alla parodontite (rappresentano da 2 a 6 volte il rischio di parodontite) e per i quali, comunque, il professionista ha scarso impatto o potere clinico (non si può fare niente contro il fenotipo, la dipendenza dal tabacco o la presenza del diabete….).

D’altro canto, il fattore di rischio “Igiene” (150 volte il rischio di parodontite secondo i nostri calcoli) viene ignorato.

Lo stesso vale per l’infezione parassitaria nella parodontologia (da 600 a 9.800 volte il rischio di parodontite), ancora negata dai più per ignoranza in materia, mentre è stata scientificamente confermata da Keyes (1981), Lyons (1989) e Bonner (2003, 2007, 2011, 2013, 2019).

Esiste, poi, una considerazione sull’età e sulla perdita ossea e l’età della menomazione patologica per i molari ed i centrali:  un nulla rispetto al mare di microbi che colonizzano i solchi gengivali e le tasche infra-ossee che nessuno oggi osserva per mancanza di cultura microscopica.

Non esiste, nella nuova classificazione, nulla circa i biomarcatori, la presenza di cellule infiammatorie ed il microbiota del solco gengivale. Questa è un’omissione grave che non considera le cause del perpetuarsi della “cronicizzazione” della parodontite secondo gli esperti.

Il protocollo di cura che noi applichiamo ed i video al microscopio a contrasto di fase che noi effettuiamo di routine dimostrano che la cura della parodontite è relativamente facile quando, invece, si gestiscono sistematicamente ed efficacemente sia l’igiene dei pazienti sia la disinfezione microbica (compresi i gruppi arancioni e rossi di Socransky), nonché i parassiti ematofagi Entamoeba gingivalis (99% di parodontite) e Trichomonas tenax (25% di parodontite).

Finché non arriviamo ad affermare senza ombra di dubbio la diagnosi di amebiasi parodontale e tricomoniasi parodontale, saremo sempre nel limbo della negazione tradizionale, incapaci di agire su una causa implicita e vittime di un processo terapeutico incompleto carico di frustranti recidive.

L’uso sistemico del microscopio a contrasto di fase è il modo più sicuro e prevedibile per gestire la diagnosi e verificare lo stato di salute e la guarigione effettiva dei tessuti. Una semplice tautologia: biofilm commensale = salute parodontale. La nuova nomenclatura non incoraggia azioni concrete sulla gestione delle cellule infiammatorie o dei patogeni coinvolti nella parodontite.

Il tartaro è la conseguenza. La causa è l’infezione! Nessuna gengivite = nessuna parodontite!  Ma con la nuova nomenclatura, sebbene più distinta, continuiamo perderci nel concetto di “cronicità” del problema.

Accusiamo, piuttosto, sigarette e geni predisponenti: ma, se riflettiamo, gli igienisti e i dentisti raramente hanno parodontite (solo il 2-5%). Queste teorie, dunque, non stanno in piedi statisticamente.  Anche fumare costringe a portare le mani alla bocca 73.000 volte l’anno senza lavarci le mani: dunque qual è l’agente scatenante? 

 

Evoluzione della terapia parodontale negli anni

Negli anni 2000: levigature radicolari, rivalutazione a 6 settimane. Se presente sanguinamento e tasche parodontali superiori a 5 mm, successivo intervento chirurgico, con risultati variabili e imprevedibili. Di conseguenza, stabilizzazione mediocre (metà pazienti guariti, metà malati), “mantenimento” infinito e scarso entusiasmo nei pazienti, il che, ovviamente, è comprensibile.

Nell’anno 2018 tutto cambia: compare un albero decisionale, dei fattori di rischio, una variante in base a età, gravità, tabacco, diabete, trattamenti precedenti, lesioni, tartaro, danni iatrogeni, genetica, predisposizioni, conformità, tipologia gengivale….

In breve, una grande “zuppa” che ci porta ad un pensiero molto complicato, o  accessibile solo ai cervelli superiori, per portare, infine, a scelte “superficiali”:  ri-levigature radicolari ed opzioni chirurgiche!

In breve, giriamo sempre in tondo, un vero “gioco dell’oca”, improntato all’eterna cronicità, che riporta sempre al “via” ignorando la definizione stessa di malattia parodontale.

Cos’è la malattia parodontale? Una infiammazione incontrollata all’interno di una disbiosi microbica.

 

La nostra proposta terapeutica

Quando facciamo una diagnosi certa di malattia parodontale, noi agiamo in questo modo:

  1. Eliminiamo concretamente la disbiosi microbica ripristinando il complesso verde di Socransky attraverso il controllo microscopico e la disinfezione topica e sistemica secondo necessità (circa 4 mesi con il paziente).
  2. Eliminiamo le cellule infiammatorie del solco infetto, ripetutamente, utilizzando un microscopio a contrasto di fase in campo scuro 100x e un microscopio a contrasto di fase in campo bianco 1000x.
  3. Una volta che l’infezione e l’infiammazione scompaiono, il tartaro sub-gengivale si rimuove molto facilmente, in un solco ormai privo di pus.
  4. In caso di sovrainfezione parassitaria, analizziamo insieme al paziente la possibile via di contagio e lo istruiamo a migliorare le sue abitudini per non incorrere nello stesso problema.

Questo processo terapeutico viene chiamato Metodo Bonner e si basa su un percorso biologico che affronta la causa della malattia parodontale:

  • Apportare un biofilm di salute normale privo di cellule infiammatorie per tutti, senza dolore o interventi chirurgici per lo stadio I-II o III. I risultati sono prevedibili, fino a 10 mm di profondità di tasca parodontale (Bonner, Dental Information 2003, Pest Control, AOS 2013).
  • Risultati: ricostruzione ossea, completa autonomia del paziente, guarigione parodontale (assenza di tasche superiori a 3 mm, assenza di sanguinamento, assenza di microbi patogeni, gestione ambientale e fattori di trasmissione attorno al paziente nel 95-100% dei casi). Guarigione prevedibile grazie all’intera gestione del microbiota, facile prevenzione nei giovani adulti mediante la microscopia del biofilm della gengivite. Non lasciarti ingannare da false pubblicità: è necessario un microscopio a contrasto di fase per ottenere tali risultati con sicurezza!

 

La nostra missione il nostro pensiero

Smettiamo di incolpare la “cronicità della malattia” ma iniziamo a parlare della completa guarigione parodontale (il risultato è prevedibile: nessuna tasca superiore a 3 mm, nessun sanguinamento, un microbiota proprio della salute ed un paziente autosufficiente per la sua igiene come se fosse un igienista dentale).

Gli esperti parodontologi, per mancanza di risultati prevedibili, creano essi stessi questa falsa aurea di “cronicità”. È come battere in ritirata, perché il medico non sa come curare la malattia. Noi promettiamo, invece, la guarigione ai pazienti con il ritorno ad un  biofilm commensale.

Il tartaro è una semplice “conseguenza” da eliminare dopo una disinfezione confermata.  La levigatura delle radici offre solo un guadagno dal 5 al 20% (Cadore, J. Periodontol 2019). Smettiamo di incoraggiare questa bugia! Guardiamo le prove cliniche e usiamo una terapia medica senza chirurgia che funziona sempre!

La “prova basata sulle evidenze”, oggi, ci fa girare in tondo in una scatola ben chiusa.  La prevalenza della parodontite negli Stati Uniti era del  44% nel 1996 ed è del  47% nel 2016.  In breve, nessun guadagno con i metodi attuali. “Insuccesso basato sull’evidenza”, cronicizzazione aumentata e direzionata dai metodi tradizionali!

Ascoltiamo ed osserviamo, piuttosto, i nostri pazienti con microbi infetti, stiamo accanto alla loro infezione e la combattiamo.

Occorre, a nostro avviso, piuttosto, descrivere la parassitologia e la patogenesi di Entamoeba gingivalis (Bonner, 2019) e del patogeno Trichomonas tenax (Ribiero, Santos, Protist, 2015). Rivedere la letteratura sulla dissenteria intestinale. Prendere come esempio l’ E. histolytica o il predatore aggressivo Trichomonas vaginalis, allo stesso livello di T. tenax.

Con quale diritto gli esperti parodontologi assolvono questi parassiti che sono presenti nel 100% delle parodontiti aggressive ed invece assenti nel caso di gengivite e salute?   Chi sono i nostri esperti per lasciare impunemente parte della scienza medica? E’ un approccio che porta al concetto di cronicizzazione della malattia, al pessimismo, all’ignoranza in materia  di parassitologia, virologia, ignoranza della trasmissione dell’infezione parodontale, abbandono del concetto di trasmissibilità, di sessualità, come se i microbi non si trasmettessero in un lungo bacio alla francese o in un cunnilingus.

Le risposte sono sotto i nostri occhi. Cerchiamo  di aprire gli occhi: ottimizzazione della diagnosi al microscopio e trattamento prevedibile!  Siamo un po’ coraggiosi invece di girare intorno senza meta.

Guardiamo nel mondo del microbiota e delle cellule infiammatorie e apriamo la mente alla definizione stessa di parodontite.

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